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Nuova arrivata, aspirante traduttrice
Thread poster: Laura Tosi
Riccardo Schiaffino
Riccardo Schiaffino  Identity Verified
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2003 e 2009 Nov 13, 2009

Francesca Pesce wrote:

Peccato! Sembrava un'era molto più bella e costruttiva quella del proz del 2003.


Quando, e la cosa non è casuale, le regole che soffocano ora il sito erano molto più lievi, soprattutto nella loro applicazione.


 
Maria Giovanna Polito
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Grazie! Nov 13, 2009

Riccardo Schiaffino wrote:
Comunque auguri per l'autoformazione. Oltre alla traduzione ti consiglio anche di studiare una cosa che sempre manca a lettere (e anche nelle scuole per traduttori e interpreti): uno studio pratico di come gestire la traduzione come attività commerciale (quindi tasse, contributi, fatture, bugeting, e via dicendo).

Sulla traduzione ti consiglio un paio dei libri di testo che uso con i miei studenti: "In Other Words", di Mona Baker, e soprattutto "Memes of Translation", di Andrew Chesterman.


Ciao Riccardo,

sono d'accordissimo con te per quanto riguarda l'attività commerciale, perchè in effetti non ne so granchè... E questa è una grande pecca delle lauree cosiddette umanistiche perchè mancano proprio gli aspetti pratici di un futuro mestiere, qualunque esso sia. Grazie per i libri che mi hai consigliato, vedrò di reperirli quanto prima.
Comunque, per rispondere anche agli altri, mi ero accorta che era del 2003 la discussione (non sono ancora così rimbambita, anche dopo 5 anni di studio "matto e disperatissimo"), ma mi è venuto naturale inserirmi perchè mi sono rivista in Laura e avevo anche la curiosità di vedere cos'era cambiato in questi anni. Grazie ancora a tutti per l'accoglienza e spero anch'io di avere le opportunità che Proz ha aperto a Laura.

Buona giornata!

[Edited at 2009-11-13 10:08 GMT]


 
Mariella Bonelli
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Generosità ed educazione Nov 13, 2009

Riccardo Schiaffino wrote:

Francesca Pesce wrote:

Peccato! Sembrava un'era molto più bella e costruttiva quella del proz del 2003.


Quando, e la cosa non è casuale, le regole che soffocano ora il sito erano molto più lievi, soprattutto nella loro applicazione.


L'accoglienza dei nuovi arrivati secondo me non ha a che vedere con l'applicazione, lieve o meno, delle regole di Proz, ma sta alla generosità e all'educazione di ognuno.

[Edited at 2009-11-13 12:34 GMT]


 
Riccardo Schiaffino
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Generosità, educazione (ed irritazione) Nov 13, 2009

Mariella Bonelli wrote:

Riccardo Schiaffino wrote:

Francesca Pesce wrote:

Peccato! Sembrava un'era molto più bella e costruttiva quella del proz del 2003.


Quando, e la cosa non è casuale, le regole che soffocano ora il sito erano molto più lievi, soprattutto nella loro applicazione.


L'accoglienza dei nuovi arrivati secondo me non ha a che vedere con l'applicazione, lieve o meno, delle regole di Proz, ma sta alla generosità e all'educazione di ognuno.

[Edited at 2009-11-13 12:34 GMT]


Mariella, che stia alla generosità e all'oducazione di ognuno è verissimo, ma l'irritazione che si prova a seguito di certi interventi (e guarda che non mi riferisco né a te né a Angio, ma soprattutto a moderatori come ad esempio quella che giorni fa voleva trasformare il thread sulle domande da porre a Henry in un qualcosa di stucchevolissimo) poi secondo me finisce per travasarsi anche sulle risposte date in altri thread.

Il che, magari, non sarà giusto, ma è naturale.


 
Laura Tosi
Laura Tosi
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oggi come ieri? Nov 16, 2009

Per quanto mi riguarda è un bel po' che non seguo con attenzione il sito e quindi non so bene cosa sia successo a livello generale. È vero però che leggendo alcune discussioni dell'ultimo periodo mi sono accorta che l'accoglienza ai nuovi arrivati è spesso ben diversa da quella che ho ricevuto io e di cui sono tuttora molto grata ai colleghi di allora. Mi auguro che ognuno di noi (nessuno escuso) si ricordi sempre che un tempo, più o meno lontano, è stato un nuovo arrivato, un aspirante tr... See more
Per quanto mi riguarda è un bel po' che non seguo con attenzione il sito e quindi non so bene cosa sia successo a livello generale. È vero però che leggendo alcune discussioni dell'ultimo periodo mi sono accorta che l'accoglienza ai nuovi arrivati è spesso ben diversa da quella che ho ricevuto io e di cui sono tuttora molto grata ai colleghi di allora. Mi auguro che ognuno di noi (nessuno escuso) si ricordi sempre che un tempo, più o meno lontano, è stato un nuovo arrivato, un aspirante traduttore che di questo mestiere sapeva pochino. Dare un consiglio costa poco ma può dare molto a chi lo riceve. Per me è stato così e mi auguro di non rimanere una delle ultime fortunate che hanno beneficiato di un confronto costruttivo.

Intanto ringrazio anch'io Riccardo per i suggerimenti sulle letture e ricambio il saluto di texjax, che nonostante la mia lunga assenza non ho certo dimenticato! Ma... sbaglio o un tempo molto molto lontano tu eri una tazzina di caffè?
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Gaetano Silvestri Campagnano
Gaetano Silvestri Campagnano  Identity Verified
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Si impara a tradurre soprattutto traducendo - Aiuto agli esordienti Nov 16, 2009

Riccardo Schiaffino wrote:
Però sì: chi inizia a tradurre senza una preparazione specifica, sia che venga da lingue, sia che arrivi alla traduzione da altre strade, secondo me "s'improvvisa" traduttore.

Servono senz'altro voglia e capacità di imparare, esercizio e costanza (e un po' di passione non guasta certo), ma le basi specifiche di studio della traduzione, se uno non le ha ottenute in una facoltà mirata, deve comunque ottenerle, studiando sodo, anche magari in proprio.


Scusa Riccardo, non vorrei aver frainteso il tuo pensiero, e non vorrei neppure ritornare su una vecchissima questione, indubbiamente di "lana caprina", su quale sia il miglior percorso di formazione per diventare traduttori (che non è neppure il tema di questo thread), ma non sono d'accordo su quanto citato sopra, almeno per come credo di averlo interpretato.

Infatti, condivido senz'altro il fatto che per chi vuole diventare traduttore, l'ideale sarebbe, in teoria, frequentare un corso o una facoltà appositamente mirati alla traduzione, meglio ancora con delle specializzazioni in determinati settori traduttivi. Però è anche vero che, come insegna la realtà del nostro settore, e come possiamo constatare nello stesso ProZ, alla professione della traduzione, e si badi bene, a un suo alto livello di competenza e professionalità, si arriva da svariatissimi tipi di percorso, tutti altrettanto utili e interessanti. Di conseguenza, si evince che, nel nostro lavoro, ciò che conta non è il percorso (il "come"), ma il punto di arrivo (cioè il "dove" si arriva). E sono anche convinto che questo, anziché essere un elemento negativo, come forse alcuni potranno pensare, è secondo me un aspetto estremamente positivo, che conferisce un arricchimento, un vero e proprio "valore aggiunto" alla nostra professione, contribuendo alla sua grande varietà, che ritengo uno dei componenti fondamentali della sua grande bellezza e originalità (secondo me davvero uniche).

Infatti, basta guardare nel nostro ambiente, e non solo qui in ProZ, per rendersi conto che il nostro settore è pieno di ottimi colleghi che non solo non provengono dalla facoltà di traduzione (spesso, ad esempio, vengono appunto dalla facoltà di lingue e letterature straniere), ma che addirittura sono partiti da studi e settori di lavoro completamente diversi da quelli linguistici, come medicina, giurisprudenza, economia o architettura: e ne vediamo appunto molti esempi importanti anche qui in ProZ.

Inoltre, un aspetto che vorrei sottolineare è il fatto che, secondo me, gli studi sono sì importanti, ma ciò che costituisce l'elemento determinante per diventare buoni traduttori è senza dubbio l'esperienza. Perciò, anche se questo concetto potrà sembrare lapalissiano, sono convinto che si impari veramente a tradurre solo traducendo, come avviene del resto per tutte le attività umane. Quindi, secondo me, chiunque inizia a tradurre dalla gavetta, anche provenendo dal settore che può sembrare quanto più lontano possibile dalla traduzione, non "si improvvisa" traduttore, ma sta semplicemente iniziando la sua attività e sta affacciandosi alla professione come ha fatto chiunque di noi ai suoi inizi. Naturalmente, ogni esordio deve essere sostenuto da una grande passione, impegno e voglia di imparare (e in genere anche da una buona attitudine naturale), altrimenti non si riuscirà ad andare molto lontano.

E credo anche che, in gran parte, i suddetti bravissimi colleghi provenienti da altri settori non abbiano fatto per nulla degli studi specifici supplementari per intraprendere la nostra professione (tranne, naturalmente, la conoscenza approfondita della lingua di lavoro, che però, in genere, possedevano già), ma che, come tutti, abbiano di fatto imparato il proprio lavoro "sul campo", semplicemente iniziando a tradurre.

Nel mio caso personale (e chiedo scusa se ne parlo, ma è solo per avvalorare quanto dico), posso dire che ho preso la mia laurea (ormai diversi anni fa...) in lingue e letterature straniere all'Istituto Orientale di Napoli, dove allora non esisteva certo la facoltà di interpretariato e traduzione, istituita abbastanza di recente. In quel periodo non immaginavo neppure lontanamente che sarei diventato traduttore: ho scoperto infatti la passione per la traduzione solo molto più tardi, persino alcuni anni dopo aver terminato gli studi.

Poi è avvenuto qualcosa di imprevedibile, come spesso accade a molti di noi: sono entrato in contatto per puro caso con una piccolissima agenzia di traduzioni della mia zona, che mi ha proposto di collaborare come traduttore "freelance", facendo sì che, in pratica, mi appassionassi talmente tanto a questo lavoro da convincermi a sceglierlo definitivamente. Come forse ho già raccontato, questa "miniagenzia" mi ha sì sfruttato tremendamente per diverso tempo, ma mi ha anche consentito di accumulare una grossa esperienza nel settore tecnico e negli aspetti pratici del nostro lavoro. Ho così potuto addentrarmi in modo accettabile in questo nostro settore, che non è sicuramente dei più facili. Ed è stato proprio grazie a questa esperienza che, tempo dopo, sia pure in modo graduale, sono riuscito a trovare clienti decisamente migliori della suddetta agenzia…

Anche, nel mio caso, perciò, ho imparato davvero il modo in cui si traduce solo quando ho iniziato a svolgere i primi lavori. In particolare, in quel periodo, mi è stato molto utile guardare i miei errori corretti dai responsabili della prima agenzia, i quali, seguendo un ottimo metodo (che consiglio a tutti i principianti), mi rimandavano spesso la versione revisionata dei file dei miei lavori.

Naturalmente, tengo di nuovo a precisare che, con quanto detto, non intendo affatto sminuire l'importanza di qualsiasi tipo di studi per il nostro lavoro. L'esperienza è sicuramente determinante, ma, se non è supportata da una buona preparazione universitaria (oltre che, come già detto, da talento, passione e volontà), difficilmente potrà ottenere grandi risultati, o comunque li raggiungerà in tempi molto più lunghi rispetto a chi ha una buona formazione alle spalle.

Un'ultima considerazione, poi, riguardo alla tanto ricorrente "dicotomia" tra facoltà di lingue e facoltà di traduzione, al centro di interminabili quanto inutili dispute sia qui su ProZ che altrove, e, secondo me, basata appunto su un falso problema (altrettanto quanto l'altro dualismo, più generale, tra formazione universitaria ed esperienza, come pure ho appena cercato di spiegare). Infatti, a mio avviso, da un lato, è vero che la facoltà di traduzione, in teoria, dà una "marcia in più" a chi si avvia alla professione di traduttore (e se potessi tornare indietro, confesso che sceglierei questa facoltà, almeno per la curiosità di scoprire come vengono insegnati, nella teoria, quei meccanismi che ho invece imparato nella pratica…). Tuttavia, è anche vero che la facoltà di lingue e letterature fornisce una preparazione umanistica e letteraria la cui importanza, inizialmente, non sembra così rilevante per la traduzione, ma che, in seguito, via via che il traduttore procede nella sua attività, si rivela sempre più preziosa, e non solo nei settori umanistici.

E possiamo testimoniarlo in prima persona, sia io che gli altri colleghi che hanno studiato lingue e letterature: non si ha idea di quanto possano servire, gli studi umanistico-letterari, a conoscere meglio molti argomenti di traduzione, e quindi a chiarire meglio determinati passaggi, persino in campo medico e tecnico (e questa è un'ulteriore prova del fatto che ciò che si è studiato serve sempre e comunque).

Perciò, a questo proposito, si può dire che, mentre chi proviene dalla scuola o facoltà di traduzione conosce meglio le tecniche traduttive, chi proviene invece dalla facoltà di lingue e letterature, in molti casi, conosce meglio gli argomenti dei testi da tradurre. Naturalmente, questo discorso vale, a maggior ragione per chi, come già detto, proviene da studi extralinguistici che riguardano direttamente gli argomenti di lavoro (i già citati medici o ingegneri diventati bravi traduttori), purché, ovviamente, possieda un'ottima conoscenza linguistica, e, soprattutto, una solida esperienza di lavoro (che, è appena il caso di ripetere, è sempre indispensabile, anche per chi proviene da studi linguistici e persino traduttivi).

Vorrei passare ora alla questione relativa al menzionato peggioramento dell'"accoglienza" verso i nuovi arrivati qui in ProZ. Forse sarà che da qualche tempo non frequento il forum molto assiduamente, ma credo ancora che, in questo sito, gli atteggiamenti spiacevoli e scortesi verso gli esordienti rimangano dei casi isolati, e che, in genere, prevalga ancora il giustissimo spirito di solidarietà e di altruismo (che a maggior ragione, secondo me, è doveroso verso i principianti). Vedo, infatti, nella maggior parte dei casi, molti colleghi che rispondono prontamente alle richieste di informazioni e di aiuto che i nuovi iscritti inviano in questo forum, e che si prodigano nel fornire alle nuove leve svariati consigli e indicazioni preziose, sia sull'avvio della professione che sull'utilizzo dello stesso sito di ProZ.

E a questo proposito, senza alcun intento polemico, voglio proprio "incorniciare" in una casella di citazione, una riflessione secondo me eccezionale, scritta da Laura nel suo intervento più recente, in rapporto alla necessità di aiutare i nuovi o futuri colleghi che sono alle prime armi. Sono convinto, infatti, che questo pensiero meriti davvero di essere messo in evidenza, tanto esemplifica in modo esatto un concetto per me veramente fondamentale.

Laura T. wrote:
Mi auguro che ognuno di noi (nessuno escluso) si ricordi sempre che un tempo, più o meno lontano, è stato un nuovo arrivato, un aspirante traduttore che di questo mestiere sapeva pochino. Dare un consiglio costa poco ma può dare molto a chi lo riceve".


E concludo salutando Laura, che mi ha fatto molto piacere rivedere sul sito dopo molto tempo (anche a me la piccola "ranocchia" del simbolo è stata sempre molto simpatica), oltre che, naturalmente, sapere che ha tenuto duro ed ha "ingranato" bene con il lavoro.

Auguro perciò un grande in bocca al lupo alla stessa Laura per la continuazione (e anche la progressione positiva) della sua attività, e invio lo stesso augurio anche a Maria Giovanna ed a tutti i traduttori esordienti iscritti al sito, soprattutto perché partano "con il piede giusto" in questo difficile ma bellissimo lavoro della traduzione.

Ciao e buona settimana a tutti,

Gaetano

PS: Scusate tanto: forse oggi ho battuto il record di lunghezza di un post in ProZ, almeno quello personale, ma vi assicuro che, nonostante tutta la buona volontà, spesso non riesco proprio ad essere breve. Ringrazio fin d'ora, perciò, chi avrà avuto la pazienza di leggere fino in fondo.


[Modificato alle 2009-11-17 01:00 GMT]


 
Fran Cesca
Fran Cesca
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Lingue e traduzioni Nov 16, 2009

Gaetano Silvestri Campagnano wrote:

Riccardo Schiaffino wrote:






[Modificato alle 2009-11-16 15:56 GMT]


Quoto senza riportare il testo scritto per evitare ulteriori lungaggini, ma mi trovo perfettamente d'accordo con Gaetano sull'analisi fatta circa la differenza tra Scuola Interpreti e Laurea in Lingue.

Io sono laureata in Lingue e al tempo in cui scelsi la scuola interpreti ancora non valeva come la laurea, a Roma era privata, aveva una retta proibitiva e non mi andava di chiedere soldi ai miei, né per una scuola privata né per trasferirmi a Trieste o Forlì che erano le due scuole interpreti pubbliche a quel tempo.

Per mia immensa fortuna, tutti i lettori di lingua che ho avuto nei 4 anni all'Università lavoravano o avevano lavorato alla scuola interpreti, per cui impostavano i loro corsi come corsi di traduzione, con studio dell'uso del vocabolario, compiti a casa, ecc. ecc. E anche alcuni dei professori con cui ho svolto la maggior parte dei miei esami aveva svolto una gloriosa carriera di traduttore per cui dedicavano parte delle loro ore a questi aspetti.

Io sono fermamente convinta, e me ne dà quotidianamente conferma la mia vita in ufficio, che le facoltà umanistiche e lo studio delle Lingue e Letterature in particolare diano un'impronta diversa al laureato, insegnano un metodo, una panoramica, sviluppano spirito critico, portano al confronto, per dirla molto banalmente, almeno per quello che riguarda il mio caso.

Ammetto di essere la peggior zappa per quel che riguarda le questioni pratiche del lavoro, contratti, PO, fatture e quant'altro e che mi sento 'incompleta' per questo

Tutto ciò non toglie che possiamo coesistere insieme agli architetti, medici, veterinari, commercialisti e avvocati che come noi svolgono con passione e eccellenti risultati il nostro lavoro


 
Riccardo Schiaffino
Riccardo Schiaffino  Identity Verified
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D'accordo, per certi versi, quindi precisiamo: Nov 16, 2009

Gaetano Silvestri Campagnano wrote:

non vorrei neppure ritornare su una vecchissima questione, indubbiamente di "lana caprina", su quale sia il miglior percorso di formazione per diventare traduttori (che non è neppure il tema di questo thread),


Forse non ci volevi ritornare, ma mi sembra che tu ci sia proprio ritornato

Però è anche vero che, come insegna la realtà del nostro settore,
arriva da svariatissimi tipi di percorso, tutti altrettanto utili e interessanti. Di conseguenza, si evince che, nel nostro lavoro, ciò che conta non è il percorso (il "come"), ma il punto di arrivo (cioè il "dove" si arriva). [/quote]

Sono senz'altro d'accordo che quel che conta è il dove si arriva. Però, quando ci si arriva dipende molto dal percorso intrapreso. Di solito chi abbia fatto studi mirati alla traduzione arriva prima al livello d'esperienza necessario per una vera traduzione professionale.

Quindi, secondo me, chiunque inizia a tradurre dalla gavetta, anche provenendo dal settore che può sembrare quanto più lontano possibile dalla traduzione, non "si improvvisa" traduttore, ma sta semplicemente iniziando la sua attività e sta affacciandosi alla professione come ha fatto chiunque di noi ai suoi inizi.

A meno che chi inizia a tradurre non abbia già fatto traduzione, e tanta, durante gli studi, all'inizio, sì: si sta improvvisando traduttore. Poi
una grande passione, impegno e voglia di imparare (e in genere anche da una buona attitudine naturale)
permetteranno anche a chi si improvvisa traduttore di diventarlo.

E credo anche che, in gran parte, i suddetti bravissimi colleghi provenienti da altri settori non abbiano fatto per nulla degli studi specifici supplementari per intraprendere la nostra professione (tranne, naturalmente, la conoscenza approfondita della lingua di lavoro, che però, in genere, possedevano già)

Sono piuttosto scettico sul livello di conoscenza della lingua di chi non l'abbia studiata a fondo con lo scopo specifico di diventare traduttore: di solito i laureati da altre facoltà (tenendo da parte il caso dei laureati in lingue, che è un po' diverso) mostrano insidiose lacune, tanto più pericolose quanto più sono convinti di sapere già bene la lingua straniera.

Infatti, a mio avviso, da un lato, è vero che la facoltà di traduzione, in teoria, dà una "marcia in più" a chi si avvia alla professione di traduttore (e se potessi tornare indietro, confesso che sceglierei questa facoltà, almeno per la curiosità di scoprire come vengono insegnati, nella teoria, quei meccanismi che ho invece imparato nella pratica…). Tuttavia, è anche vero che la facoltà di lingue e letterature fornisce una preparazione umanistica e letteraria la cui importanza, inizialmente, non sembra così rilevante per la traduzione, ma che, in seguito, via via che il traduttore procede nella sua attività, si rivela sempre più preziosa, e non solo nei settori umanistici.


D'accordo, e infatti, mentre penso che il laureato in traduzione parta in vantaggio, tale vantaggio si riduce nel tempo, e si azzera se il laureato in traduzione non si prende cura di colmare le lacune della sua cultura universitaria: preparazione di prim'ordine "pratica", ma lacunosa dal punto di vista umanistico.

Perciò, a questo proposito, si può dire che, mentre chi proviene dalla scuola o facoltà di traduzione conosce meglio le tecniche traduttive, chi proviene invece dalla facoltà di lingue e letterature, in molti casi, conosce meglio gli argomenti dei testi da tradurre.


Senz'altro no per quanto riguarda testi quali manuali d'istruzione, localizzazione di software, testi tecnici in genere, ecc. (ciè la maggior parte di quello che i traduttori non letterari sono chiamati normalmente a tradurre).


 
Gaetano Silvestri Campagnano
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Solo qualche precisazione Nov 17, 2009

Ciao Riccardo

Solo qualche precisazione, per chiarire meglio quanto intendevo dire:

Riccardo Schiaffino wrote:
Gaetano Silvestri Campagnano wrote:
non vorrei neppure ritornare su una vecchissima questione, indubbiamente di "lana caprina", su quale sia il miglior percorso di formazione per diventare traduttori (che non è neppure il tema di questo thread)


Forse non ci volevi ritornare, ma mi sembra che tu ci sia proprio ritornato


Confermo che non avrei voluto tornarci, ma sono stato in parte obbligato a toccare l'argomento dopo che sembravi averlo evocato di nuovo: avevo avuto l'impressione che tu volessi sostenere la "superiorità" dei colleghi laureati in traduzione su quelli laureati in lingue o in altre discipline, ma mi auguro proprio che non fosse così. Come ho già precisato, questo è uno degli argomenti che ritengo più inutili in assoluto tra quelli discussi in ProZ, e la suddetta teoria (che in modo più o meno esplicito, periodicamente fa ogni tanto capolino in ProZ: per fortuna meno spesso ultimamente...) è del tutto priva di fondamento, per i motivi che ho spiegato prima (conta cioè il punto di arrivo, e abbiamo fior di colleghi non laureati in traduzione e neppure in lingue, come pure molti laureati in traduzione che non sono minimamente al livello dei precedenti). Per questo motivo non ho potuto fare a meno di aggiungere le suddette considerazioni.

Riccardo Schiaffino wrote:
Sono senz'altro d'accordo che quel che conta è il dove si arriva. Però, quando ci si arriva dipende molto dal percorso intrapreso. Di solito chi abbia fatto studi mirati alla traduzione arriva prima al livello d'esperienza necessario per una vera traduzione professionale.


Certo, in alcuni casi può essere così (e ho detto anch'io, in un altro passo, che, senza studi, l'esperienza, anche se solida, è limitata o arriva all'obiettivo molto più tardi). Però neppure questa va considerata una regola generale, specialmente sugli studi di traduzione, anche in rapporto a quanto appena detto. Inoltre, va tenuto presente soprattutto che l'esperienza non è fatta soltanto di tecniche traduttive, ma anzi, come pure dicevo, si acquisisce in gran parte direttamente "sul campo". Le tecniche saranno anche importanti, ma sono comunque metodi teorici, che vanno sempre messi in atto e perfezionati attraverso l'esperienza.

Riccardo Schiaffino wrote:
A meno che chi inizia a tradurre non abbia già fatto traduzione, e tanta, durante gli studi, all'inizio, sì: si sta improvvisando traduttore. Poi
una grande passione, impegno e voglia di imparare (e in genere anche da una buona attitudine naturale)
permetteranno anche a chi si improvvisa traduttore di diventarlo.


Se intendi dare al termine "improvvisarsi" una valenza negativa, confermo che non sono d'accordo, perché, proprio come ho detto, si diventa veri traduttori solo con l'esperienza. A questo punto, perciò, anche chi esce dalla scuola di traduzione, di fatto, si "improvvisa" traduttore, perché non lo diventa finché non mette davvero in pratica, nel corso di anni, ciò che ha studiato in precedenza. In altre parole, il vero inizio, per tutti, è quello dell'attività lavorativa vera e propria.

Se, al contrario, vogliamo attenerci al significato letterale del termine, di iniziare qualcosa del tutto "ex novo", in base al quale tu intendi dimostrare la superiorità o il vantaggio di chi ha studiato traduzione su chi non l'ha studiata o non ha studiato neppure in una facoltà di lingue, anche questa situazione, scondo me, è più teorica che reale, perché confermo che anche chi arriva alla traduzione da una laurea "tecnica" non si improvvisa certo, ma parte da basi ugualmente importanti per la professione traduttiva.

Infatti, anche chi viene da altri studi non linguistici (che definisco "tecnici" solo per maggiore semplicità, ma possono essere anche umanistici e giuridici) parte da un livello secondo me non troppo svantaggiato rispetto agli altri, perché, come ho detto, le esperienze di una formazione non linguistica sono diverse, ma allo stesso tempo complementari rispetto a quelle di chi ha studiato traduzione e anche lingue e letterature: in alcuni, perciò, abbiamo una preparazione traduttiva, in altri umanistico-letteraria e in altri una formazione "tecnica" (naturalmente unita a una buona conoscenza e predisposizione linguistica), che sono tutte e tre importanti per il lavoro di traduzione. Quindi tutti, all'inizio dell'esperienza di lavoro, partono da livelli che sono più o meno equivalenti, o che lo diventano comunque nel percorso verso il punto di arrivo, che è ciò che veramente conta.

Quindi, riassumendo, secondo le due interpretazioni che a mio avviso si possono dare del termine "improvvisarsi" (e che non si contraddicono, essendo solo due diversi aspetti della stessa realtà), o tutti i traduttori "si improvvisano" (= "nessuno è nato imparato", come si dice a Napoli, e comunque nessuno lo è veramente prima di lavorare), oppure nessun traduttore con capacità e volontà, e con alle spalle qualsiasi percorso di studi, si improvvisa mai veramente (= ognuno viene da una formazione ugualmente importante per la traduzione).

[quote]Riccardo Schiaffino wrote:
Gaetano Silvestri Campagnano wrote:
E credo anche che, in gran parte, i suddetti bravissimi colleghi provenienti da altri settori non abbiano fatto per nulla degli studi specifici supplementari per intraprendere la nostra professione (tranne, naturalmente, la conoscenza approfondita della lingua di lavoro, che però, in genere, possedevano già)


Sono piuttosto scettico sul livello di conoscenza della lingua di chi non l'abbia studiata a fondo con lo scopo specifico di diventare traduttore: di solito i laureati da altre facoltà (tenendo da parte il caso dei laureati in lingue, che è un po' diverso) mostrano insidiose lacune, tanto più pericolose quanto più sono convinti di sapere già bene la lingua straniera.


Certamente, ma io non mi riferivo a tutti i laureati di altre facoltà, bensì agli ottimi colleghi traduttori provenienti da altri percorsi, che, come tutti possiamo notare, rappresentano una chiara eccezione a questa regola. E lo testimonia la loro notevole preparazione linguistica, acquisita insieme a quella tecnica e perfezionata con l'esperienza di traduzione.

[quote]Riccardo Schiaffino wrote:
Gaetano Silvestri Campagnano wrote:
Perciò, a questo proposito, si può dire che, mentre chi proviene dalla scuola o facoltà di traduzione conosce meglio le tecniche traduttive, chi proviene invece dalla facoltà di lingue e letterature, in molti casi, conosce meglio gli argomenti dei testi da tradurre.


Senz'altro no per quanto riguarda testi quali manuali d'istruzione, localizzazione di software, testi tecnici in genere, ecc. (cioè la maggior parte di quello che i traduttori non letterari sono chiamati normalmente a tradurre).


Un testo non ha quasi mai un contenuto monolitico, e gli argomenti non sono mai uniformi e a "compartimenti stagni", per cui, come tutti sappiamo, si possono trovare richiami non tecnici e umanistici persino in testi di natura estremamente tecnica. Basti pensare, poi, ai software, che possono essere di qualsiasi tipo e riguardare tutti i settori delle attività umane (dalla gestione aziendale all'architettura, dal design al turismo o alla musica). E a maggior ragione questo discorso vale per i siti Web, che possono davvero abbracciare ogni argomento possibile. Perciò, come ho già detto, spesso non si ha idea di quanto gli studi umanistici possano servire sempre, anche nei settori più impensati: te lo posso veramente assicurare per la mia esperienza personale, in cui ciò che ho studiato mi è servito persino in svariati testi tecnici e informatici (l'"informatica", del resto, è gestione di "informazioni", che perciò, come già visto, possono essere di qualsiasi tipo). Per non parlare, infine, dei testi medici (che appunto rappresentano pure una parte notevole dei settori di lavoro dei traduttori non letterari).

Lungi da me, naturalmente, tentare di dimostrare, con ciò, una tesi uguale ed opposta a quella di chi vuole propugnare la superiorità delle scuole di traduzione: il mio è solo un ulteriore argomento a favore della perfetta complementarietà che si realizza nel nostro settore quando diverse strade portano allo stesso traguardo.

Ciao,

Gaetano


[Modificato alle 2009-11-17 04:21 GMT]


 
Riccardo Schiaffino
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Controbatto (e poi smetto) Nov 17, 2009

A questo punto, perciò, anche chi esce dalla scuola di traduzione, di fatto, si "improvvisa" traduttore, perché non lo diventa finché non mette davvero in pratica, nel corso di anni, ciò che ha studiato in precedenza. In altre parole, il vero inizio, per tutti, è quello dell'attività lavorativa vera e propria.


Con la differenza (per me importante), che chi si laurea in traduzione arriva sul lavoro col vantaggio di anni di esperienza effettiva di traduzione (all'università), di critiche alle proprie scelte traduttive sia dai docenti, sia dagli altri studenti, e di esperienza nel come effettuare tali scelte, e come difenderle con argomenti solidi.

Secondo la mia esperienza personale (maturata sia come traduttore ed ex studente di Trieste, sia come manager di traduzione, e sia, ora, di insegnante di traduzione) valuto che a parità di altre cose il neolaureato di traduzione parta con un'esperienza equivalente a quella di un laureato di facoltà linguistiche che abbia già iniziato a tradurre professionalmente da almeno due o tre anni, e a quella di un laureato di facoltà non linguistiche che abbia già iniziato a tradurre da tre o quattro anni.

Quello che manca al neolaureato in traduzione, in genere, è la capacità di sapersi gestire come azienda. Ai laureati in lingue questo manca altrettanto, mentre chi viene da studi tecnici e già possiede esperienze lavorative, da questo punto di vista è già in vantaggio.

Comunque mi sembra evidente che ognuno resterà della sua opinione. Rispetto la tua anche se, per molte cose, non la condivido. Quindi propongo di smetterla qui, che la discussione ormai mi sembra in fase di stanca.


 
Francesca Pesce
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La Cultura, che ormai c'è poco Nov 17, 2009

Suonerà un po' arcaica la mia posizione, ma - come la vostra - parte anch'essa dalla mia esperienza personale e soprattutto dalla conoscenza di tanti traduttori di una certa età (io e ho 43, quindi mi considero una generazione di mezzo )

Al di là degli studi svolti (e su questo argomento è vero che potremmo andare avanti per secoli a discutere senza uscirne), la grande differenza che noto tra le vecchie generazioni
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Suonerà un po' arcaica la mia posizione, ma - come la vostra - parte anch'essa dalla mia esperienza personale e soprattutto dalla conoscenza di tanti traduttori di una certa età (io e ho 43, quindi mi considero una generazione di mezzo )

Al di là degli studi svolti (e su questo argomento è vero che potremmo andare avanti per secoli a discutere senza uscirne), la grande differenza che noto tra le vecchie generazioni di traduttori e le nuove generazioni (scusate la generalizzazione, qui sto parlando per grandi linee) è una differenza di Cultura.

Cultura con la C maiuscola.

Forse proprio perché le vecchie generazioni non avevano in larga parte una scuola interpreti, per la maggior parte sono arrivati alla traduzione per via indiretta, nel corso della vita, per vie le più diverse. Tuttavia, la maggior parte di quelli che conosco ha una cultura personale superiore - e di molto - alla maggior parte delle altre persone che conosco.
Sono persone che leggono, sono curiose, hanno studiato molto, hanno continuato a studiare molto e in tanti ambiti.
Leggono i giornali.
Sono persone informate delle cose che accadono attorno a loro, nella società, nel mondo.
Hanno un'apertura mentale particolare.
Hanno viaggiato. Come si viaggiava una volta...
Di conseguenza, pur senza conoscere le cosiddette "tecniche traduttive", sono in grado di tradurre senza difficoltà e molto bene testi di filosofia come testi di economia. Perché nella vita hanno letto e argomentato di filosofia, e leggono i giornali, anche le pagine economiche, per cui conoscono la differenza tra "azioni" e "obbligazioni" (a differenza di alcuni laureati alla scuola interprete che mi sono capitati "tra le mani").
Soprattutto sanno di non sapere tutto, conoscono i propri limiti. E quindi approfondiscono.
E la differenza si nota: puoi far loro tradurre un sito di gioielli o i testi della Pastorale cattolica, e il risultato sarà eccellente.

Ho invece la netta impressione che negli ultimi anni, nel nostro mestiere come nella società in generale, il valore della Cultura sia ormai considerato del tutto marginale. Una specie di atout per chi ha tempo da perdere. Da vecchio intellettuale da salotto.

E la differenza si vede. Anche senza voler arrivare alla grande Fernanda Pivano.
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Gaetano Silvestri Campagnano
Gaetano Silvestri Campagnano  Identity Verified
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Condivido per concludere - Spero di sentire altri Nov 17, 2009

Ciao Riccardo

Concordo anch'io sulla necessità di concludere qui la discussione, almeno tra noi due, proprio perché, come hai osservato tu stesso, non solo il dibattito sembra essersi ridotto a un semplice "ping-pong" tra due soli utenti, ma sta rischiando soprattutto di girare continuamente intorno agli stessi temi. Anch'io, infatti, non vorrei più ripetere ancora ciò che ho già detto ampiamente e molte volte sull'importanza della vera esperienza lavorativa e degli altri vanta
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Ciao Riccardo

Concordo anch'io sulla necessità di concludere qui la discussione, almeno tra noi due, proprio perché, come hai osservato tu stesso, non solo il dibattito sembra essersi ridotto a un semplice "ping-pong" tra due soli utenti, ma sta rischiando soprattutto di girare continuamente intorno agli stessi temi. Anch'io, infatti, non vorrei più ripetere ancora ciò che ho già detto ampiamente e molte volte sull'importanza della vera esperienza lavorativa e degli altri vantaggi che possiede chi viene da percorsi diversi dalla scuola di traduzione, persino non linguistici, soprattutto riguardo alla conoscenza degli argomenti.

Ma rispetto anch'io la tua opinione, e per di più capisco che un insegnante di traduzione non potrebbe mai condividere le mie valutazioni (:-)), sebbene siano per me basate su esempi molto evidenti e concreti, e possano riassumersi nei due concetti della preminenza della "pratica sulla grammatica", e del fatto che "ognuno ha qualcosa che gli altri non hanno" (e che, in ultima analisi, convergono a loro volta nella constatazione che "l'ambiente della nostra professione è bello proprio perché è vario").

Ma, ad ogni modo, mi fa piacere che tu non abbia sostenuto la superiorità "assoluta e incontestabile" della scuola di traduzione sugli altri percorsi di formazione, come temevo inizialmente, e che non abbia guardato i colleghi che vengono da altri percorsi, soprattutto non linguistici (tra l'altro, ripeto, bravissimi), con un certo atteggiamento di sufficienza e, appunto, "superiorità", come purtroppo avveniva a volte (voglio usare ottimisticamente il passato) in alcune pagine di questo forum o in altri luoghi simili in Internet.

Avrei voluto, però, che anche altri colleghi avessero espresso il loro punto di vista, mentre è accaduto ciò che considero un limite che caratterizza ormai da un certo tempo il forum: quando una discussione si approfondisce o si fa particolarmente "serrata", specialmente tra due iscritti, gli altri colleghi, anziché intervenire, sembrano abbandonare il filone...

Tuttavia, spero ancora di essere smentito e di sentire sul tema almeno qualche altra "campana"...

Ciao a tutti,

Gaetano
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Mariella Bonelli
Mariella Bonelli  Identity Verified
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Un'altra campana (e 2000 visitatori) Nov 17, 2009

Gaetano Silvestri Campagnano wrote:

Avrei voluto, però, che anche altri colleghi avessero espresso il loro punto di vista, mentre è accaduto ciò che considero un limite che caratterizza ormai da un certo tempo il forum: quando una discussione si approfondisce o si fa particolarmente "serrata", specialmente tra due iscritti, gli altri colleghi, anziché intervenire, sembrano abbandonare il filone...


È curioso, ma questa discussione è stata visitata da più di 2000 persone! Non direi che il filone sia stato "abbandonato".

Per quanto mi riguarda, sono in linea con la tua posizione. Quando ho scelto l'università non esisteva una laurea in traduzione (solo a Trieste) e il diploma delle scuole interpreti e traduttori sembrava "ridotto" rispetto a una laurea in lingue. Per altre vie mi sono poi avvicinata, seppure parzialmente, alle scuole per interpreti e traduttori e ho avuto l'impressione che fossero infinitamente più pratiche di una laurea in lingue, ma anche molto meno ampie come formazione culturale. Penso di aver fatto la scelta migliore alle condizioni del momento, anche perché è più facile costruire la pratica su una buona base teorica che il contrario. Non so tuttavia giudicare la situazione attuale, ne so troppo poco. Mi auguro che si sia riuscito ad ottenere una buona fusione delle due cose.

Ciò non toglie ovviamente che con il senno di poi, e sapendo a priori la strada che avrei intrapreso, farei comunque delle scelte diverse, ma questa è un'altra storia...


 
Angie Garbarino
Angie Garbarino  Identity Verified
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La mia campana Nov 17, 2009

Io penso invece che per tradurre bene sia necessario un "talento" particolare, che non tutti hanno, indipendentemente dal percorso di studi.

Ho visto rese stupende da gente nemmeno laureata e rese vergognose da gente laureata in traduzione.

Concordo con Francesca sull'importanza della cultura, ma non credo che basti, ripeto secondo me alla base ci vuole innanzitutto "talento" (con cultura e voglia di conoscere).

Come sempre sono molto sintetica e mi scuso
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Io penso invece che per tradurre bene sia necessario un "talento" particolare, che non tutti hanno, indipendentemente dal percorso di studi.

Ho visto rese stupende da gente nemmeno laureata e rese vergognose da gente laureata in traduzione.

Concordo con Francesca sull'importanza della cultura, ma non credo che basti, ripeto secondo me alla base ci vuole innanzitutto "talento" (con cultura e voglia di conoscere).

Come sempre sono molto sintetica e mi scuso in anticipo se qualcosa non è chiaro.

Ciao a tutti!

Angio
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Giovanni Guarnieri MITI, MIL
Giovanni Guarnieri MITI, MIL  Identity Verified
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Cultura e "talento"... Nov 17, 2009

e predisposizione per le lingue... concordo con Francesca: la cuiltura latita, purtroppo, e si vede. Forse noi leve un po' più "vetuste" siamo stati educati in modo diverso, con una forte impronta umanistica... ma è anche vero che la società è diversa e con Internet non c'è più bisogno di cultura o di andare in biblioteca.

Giovanni (liceo classico e lingue a lettere a Pisa... purtroppo non alla Normale, la cui biblioteca è stata il mio rifugio per anni...)


 
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