Competition in this pair is now closed. Source text in Romanian În după-amiaza acelei zile pariziene văzusem, la Centrul Pompidou, o mare expoziţie André Breton, pretext, de fapt, pentru o desfăşurare de imagerie suprarealistă cum rareori poţi vedea într-un singur loc. Mă însoţiseră prietenii la care locuiam, un cuplu tânăr, mixt în mai multe sensuri, căci reunea două rase, două religii şi două arte, dar mai ales două fizionomii extrem de contrastante. Ei îi priveam faţa reflectată în sticla vreunui Delvaux şi părea chiar de acolo, înconjurată natural de femei goale şi blonde aşteptând (pe cine?) într-o gară pustie. Era aidoma lor, cu excepţia părului tăiat violent la ceafă. Şi, fireşte, a hainelor, între care faimoasa cămaşă bărbătească, neagră, în care o văzusem de cele mai multe ori în săptămâna cât stătusem cu ei. Cum îşi găsise românca asta sibiancă algerianul cu care locuia, habar n-am. Legătura mea fusese, fireşte, ea, prin intermediul unei prietene comune, tot muziciană. El era un berber mândru de originea lui, marcată prin tichia de catifea cu ape vişinii şi cu fund de atlaz albastru de care cred că nu se despărţea niciodată. Astfel, era, ca şi ea, haios, nepăsător, cam leneş... Imposibil de spus din ce trăia. Căci mă-ndoiesc că din actorie, cum (nici măcar nu) pretindea: nu cred că Othello – singurul rol în care-l vedeam cât de cât – se juca prea des în acele zile la Paris... Din toată expoziţia mi-a rămas în minte doar o singură pictură. Cred că sunt ţicnit: uneori iubesc câte un tablou atât de tare, încât literalmente îmi vine să dau spargere la muzeu şi să plec cu el. Era „Le soir qui tombe” al lui Magritte: o fereastră spartă, cioburi lungi aşezate sub ea în picioare şi soarele de amurg răsfrânt în ele sub unghiuri diferite... | The winning entry has been announced in this pair.There were 6 entries submitted in this pair during the submission phase. The winning entry was determined based on finals round voting by peers.
Competition in this pair is now closed. | Nel pomeriggio di quella giornata parigina avevo visto, al centro Pompidou, una grande mostra di André Breton, in realtà, una scusa per una presentazione di immagini surrealiste, come raramente ti capita di vedere in un solo posto. Mi avevano accompagnato gli amici dai quali abitavo, una coppia giovane, mista sotto diversi aspetti, perché riuniva due razze, due religioni e due arti, ma soprattutto due fisionomie estremamente contrastanti. Le stavo guardando il viso riflesso nel vetro di qualche Delvaux e sembrava fosse proprio li, circondata in modo naturale da donne nude e bionde, aspettando(chi?) in una stazione deserta. Era proprio come loro, a eccezione dei capelli tagliati in modo violento alla nuca. E, naturalmente, a eccezione dei vestiti, tra cui la famosa camicia maschile, nera, che le avevo visto più spesso addosso la settimana in cui sono stato con loro. Come avesse trovato questa romena di Sibiu l’algerino con cui abitava, non ne ho idea. Il mio contatto era stato, naturalmente, lei, tramite un’amica comune, anche lei musicista. Era un berbero orgoglioso della sua origine, accentuata dal copricapo di velluto dai riflessi amaranto e con la parte superiore di raso blu da cui, credo, non si separasse mai. D’altronde, era, come lei, divertente, indifferente, un po’ pigro… Impossibile dire di che cosa viveva. Perché dubito che vivesse di recitazione, cosi come(neanche) pretendeva: non penso che Otello- l’unica parte in cui lo vedevo immedesimare- fosse rappresentato molto spesso quei giorni a Parigi… Di tutta la mostra mi è rimasto impresso nella mente solo un quadro. Penso di essere matto: a volte amo un quadro cosi forte che, letteralmente mi viene da compiere un furto al museo e andarmene via con lui. Era “Le soir qui tombe” di Magritte: una finestra rotta, con sotto lunghi cocci messi in piedi e il sole del tramonto riflesso in essi con diverse angolazioni… | Entry #3755
Winner Voting points | 1st | 2nd | 3rd |
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6 | 1 x4 | 1 x2 | 0 |
| Nel pomeriggio di quella giornata parigina vidi, al Centro Pompidou, una grande mostra di André Breton, in realtà un pretesto per un’esibizione di immaginario surrealista come raramente capita di ammirare in un unico luogo. Ero in compagnia degli amici che mi ospitavano, una giovane coppia, mista in più sensi: connubio di due razze, due religioni e due arti ma soprattutto due fisionomie estremamente contrastanti. Lei, il volto riflesso nel vetro di un Delveaux, sembrava proprio trovarsi nel suo ambiente mentre aspettava (chi?) in una stazione deserta, naturalmente circondata da donne bionde nude. Era identica a loro, con l’eccezione dei capelli recisi sulla nuca. E naturalmente dei vestiti, a partire dalla famosa camicia maschile, nera, che le avevo visto addosso più volte la settimana passata da loro. Non ho la più pallida idea di come quella romena di Sibiu avesse trovato l’algerino col quale viveva. Naturalmente avevo conosciuto prima lei, tramite un’amica comune, un’altra musicista. Lui era un berbero fiero delle sue origini, come testimoniava la chéchia dal luminoso velluto vermiglio e dalla frangia di seta blu da cui credo non si separasse mai. Per il resto era, come lei, eccentrico, imperturbabile, un po’ indolente… Impossibile dire di che vivesse. Perché dubito che fosse di teatro, come voleva (ma forse neanche) far intendere: non credo che Otello, l’unico personaggio che ogni tanto lo vedevo recitare, fosse spesso sulle scene di Parigi a quei tempi… Di tutta la mostra mi è rimasto impresso un solo dipinto. Devo essere pazzo: a volte mi coglie una tale passione per un quadro che mi sento letteralmente sopraffare dalla voglia di portarmelo via derubando il museo. Era “La sera che cade” di Magritte: una finestra rotta, lunghe schegge di vetro irte ai suoi piedi e il sole calante che vi si rifrange in diverse angolazioni…
Da „Seara care cade” di Mircea Cărtărescu. „De ce iubim femeile”, Humanitas Publishing House, 2004. | Entry #3565
Voting points | 1st | 2nd | 3rd |
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4 | 1 x4 | 0 | 0 |
| Nel pomeriggio di quel giorno parigino vidi, al Centro Pompidou, una grande mostra di André Breton, un pretesto, di fatto, per la realizzazione di un’iconografia surrealista come raramente si vede in un solo posto. Mi accompagnarono gli amici presso i quali abitavo, una copia giovane, mista in vari sensi, perché racchiudeva in sé non solo due razze, due religioni e due arti, ma soprattutto due fisionomie molto contrastanti tra di loro. Le guardavo il viso riflesso nel vetro di qualche Delvaux che sembrava appartenere ad essi, così come era naturalmente circondata da giovani donne nude e bionde in attesa (di chi?) in una stazione deserta. Era identica a loro, tranne la chioma accorciata violentemente sulla nuca. Anche i vestiti, evidentemente, erano diversi, tra cui la famosa camicia di taglio maschile, color nero, che vidi spesso indossare nelle settimane che vissi con loro. Come avrà potuto trovare questa rumena l’algerino con cui viveva, non ho la più pallida idea. Io mi trovavo lì, ovviamente, perché conoscevo lei, tramite un’amica comune, anch’essa una musicista. Lui era un berbero fiero delle sue origini, contraddistinto dalla scazzetta di velluto in sfumature bordeaux e dalla fodera in raso blu da cui penso non si separasse mai. D’altra parte, era, come lei, un po’ goffo, indifferente, piuttosto fannullone... Difficile dire di cosa vivesse. Perché dubito vivesse di recitazione, come (nemmeno) affermava: non credo che Othello - l’unico personaggio che mi sembrava addatto a lui - fosse rappresentato troppo spesso in quei giorni a Parigi... Di tutta la mostra mi rimase impressa nella memoria un’unica pittura. Penso di essere pazzo: talvolta amo così profondamente un quadro, tanto da aver voglia di assaltare letteralmente il museo per portarlo via. Era „Le soir qui tombe” di Magritte: una finestra infranta, lunghe schegge di vetro poste sotto di essa in verticale ed il sole al tramonto che vi si rifrange in infinite angolature. | Entry #4001
Voting points | 1st | 2nd | 3rd |
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4 | 1 x4 | 0 | 0 |
| Avevo visto, al Centro Pompidou, nel pomeriggio di quella giornata parigina, una grande mostra André Breton, pretesto, infatti, per una sfilata immaginosa surrealista che di rado si può vedere nello stesso posto. Ero stato accompagnato dai miei amici, ai quali abitavo, una coppietta giovane, mista da più punti di vista, riunendo due razze, due religioni e due arte, ma per lo più due fisionomie estremamente contrastanti. Le guardavo la faccia nel vetro di un Delvaux e anzi sembrava originaria da quel luogo, naturalmente circondata da donne nude e bionde in attesa (di chi?) in una stazione deserta. Era proprio come loro, esclusi i capelli tagliati violentemente sulla nuca. E, ovviamente, gli abiti, tra i quali la famosa camicia nera per uomini, con la quale l’ho vista più frequentamente nella settimana che avevo passato presso loro. Non ho la minima idea come questa romena da Sibiu abbia trovato l’algerino con cui abitava. La mia connessione era stata, ovviamente, lei, tramite una amica comune, musicista come lei. Lui era un berbero fiero della sua origine, che era marcata con la cuffietta velluta a striscie color granata, a fondo di raso blù, dalla quale credo che non si abbia mai separato. Così, era, come lei, un simpaticone, indifferente, un po’ pigro... Impossibile a dire come si sia guadagnato il denaro. Perchè dubito che la fonte sia stato l’arte teatrale, cosa per cui (nèanche non) aveva pretese: penso che Othello – l’unica parte che lo vedevo quasi fare – non si abbia fatto troppo frequentamente a Pariggi in quel periodo ... Da tutta la mostra, solo una pittura mi si è attaccata alla mente. Penso di essere matto: a volte amo chissà che quadro così fortemente, che davvero sto per saccheggiare il museo, prenderlo, e andar via. Era „Le soir qui tombe” di Magritte: una finestra rotta, cocci lunghi messi verticalmente sotto e il sole sull’imbrunire che li rispecchiava a vari angoli... | Entry #4721
Voting points | 1st | 2nd | 3rd |
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4 | 1 x4 | 0 | 0 |
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